Plasticenta: microplastiche nella placenta, uno nuova sfida da combattere per i nostri figli

Uno studio italiano ha dimostrato la presenza di microplastiche nella placenta umana, e apre alla necessità di approfondire tutte le conseguenze che questa presenza può innescare sulla salute a breve e lungo termine dei nostri figli.

Il lavoro di due gruppi di ricerca italiani guidati dalle Professoresse Elisabetta Georgini e Oliana Carnevali, è stato recentemente pubblicato  sulla piattaforma biorXiv a dicembre 2020 e sulla rivista scientifica Environment International a gennaio 2021.

Tale studio ha portato a risultati importantissimi ma al contempo estremamente preoccupanti: è stata infatti dimostrata la presenza di microplastiche e microparticelle pigmentate in campioni di placenta umana.

Lo studio è stato condotto con la collaborazione dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, sotto la guida del dott. Antonio Ragusa, e fornisce un nuovo punto di vista sull’impatto dell’inquinamento sulle nostre vite.

Che cosa sono le microplastiche?

Le microplastiche sono particelle  di dimensioni comprese tra 5 mm e 330 µm che residuano  dalla degradazione di oggetti in plastica abbandonati nell’ambiente. Le microplastiche possono spostarsi dall’ambiente agli organismi viventi e, infatti, sono state trovate nei pesci e nei mammiferi.

Le microplastiche si possono suddividere in due tipologie a seconda della fonte di inquinamento (JRC110629, 2018):

  • Microplastiche primarie: frammenti di materie plastiche che vengono già rilasciati nell’ambiente con queste piccole dimensioni. Si tratta ad esempio di  frammenti  derivati dal lavaggio di capi sintetici (35% delle microplastiche primarie),  dall’abrasione degli pneumatici durante la guida (28%) e da frammenti che vengono aggiunti nei prodotti cosmetici (2%). Le microplastiche primarie rappresentano  il 15-31% delle microplastiche presenti nell’oceano.
  • Microplastiche secondarie: frammenti che derivano dalla disgregazione progressiva di materie plastiche di dimensioni maggiori. Le microplastiche secondarie rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano.

Le microplastiche  sono state ritrovate non solo dei mari e negli oceani (compresi li mari dell’artico e dell’antartico) ma anche in campioni di acqua dolce, nei cibi e nelle bevande.

La foto del bicchiere con la plastica dentro sicuramente vi provoca disgusto,  ma se quel singolo pezzo di plastica fosse frammentato in pezzettini piccolissimi e non visibili ad occhio nudo, nessuno si farebbe problemi a bere quel bicchiere di acqua.  Ed è quello che  probabilmente stiamo facendo quotidianamente.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha suggerito negli ultimi anni di approfondire  i potenziali  effetti che le microplastiche possono avere sulla salute umana (Microplastics in drinking water – WHO, 2019).

Le microplastiche nella placenta umana

Lo studio italiano è andato ad analizzare sei placente umane, raccolte in modo prospettico da donne consenzienti con gravidanze fisiologiche. Le placente sono state analizzate mediante microspettroscopia Raman per valutare la presenza di microparticelle. Le microparticelle rilevate sono state infine caratterizzate in termini di morfologia e composizione chimica.

In 4 placente su 6 sono state trovate 12 microparticelle, di dimensioni comprese tra 5 e 10 μm: 5 nel lato fetale, 4 nel lato materno e 3 nelle membrane corioamniotiche.

Tutte le microparticelle analizzate erano pigmentate: tre di esse sono state identificate come polipropilene colorato, mentre per le altre nove è stato possibile identificare solo i pigmenti, che sono tutti utilizzati per rivestimenti, vernici e coloranti artificiali.

Nello studio pertanto  si dimostra per la prima volta la presenza di microparticelle e microplastiche nella placenta umana. Questa scoperta getta nuova luce sull’impatto della plastica sulla salute umana. Le microparticelle e le microplastiche nella placenta, insieme agli interferenti endocrini da esse trasportate, potrebbero avere effetti a lungo termine sulla salute umana.

Le conseguenze della scoperta della microplastiche nella placenta umana

Questo studio getta nuova luce sul livello di esposizione umana alle microplastiche e microparticelle in generale. La placenta ha un  ruolo cruciale  nel supportare lo sviluppo del feto e agisce come interfaccia tra  quest’ultimo e l’ambiente esterno. Pertanto la presenza di particelle  di plastica  esogene e potenzialmente dannose è sicuramente motivo di grande preoccupazione.

Le 12 particelle riscontrate nella placenta hanno caratteristiche ben definite.  Tre sono stati identificati come polipropilene colorato, un tipo comune di plastica che si trova in cose come imballaggi, borse, tappeti e interni di automobili, oltre che in innumerevoli altri prodotti. Non è stato possibile identificare il tipo di plastica per le altre nove particelle, ma il pigmento su di esse è stato riconosciuto come pigmenti utilizzati in “rivestimenti, vernici e coloranti artificiali”.

I ricercatori ci ricordano quanto sia enorme l’industria della plastica che crea oltre 320 milioni di tonnellate all’anno, il 40% delle quali viene usata in imballaggi che verranno smaltiti dopo la consegna del pacchetto. L’idea della plastica come risorsa rinnovabile attraverso il riciclo rimane purtroppo  in gran parte un mito: in Canada, secondo lo  studio Deloitte commissionato da Environment and Climate Change  si stima che solo il 9%   della plastica viene effettivamente riciclato.

Quando la plastica finisce nell’ambiente,  come rifiuto o come esito di uno smaltimento improprio, può degradarsi in microplastiche, che sono così piccole da essere quasi impossibili da recuperare una volta entrate in mare.

Il fatto che siano entrate così capillarmente nell’ambiente ha reso ormai inevitabile anche il loro ingresso nel corpo umano.

I ricercatori hanno ipotizzato che le microplastiche abbiano raggiunto la placenta attraverso il sistema respiratorio o il tratto gastrointestinale della madre.

Non è ancora chiaro quale impatto possano o abbiano le microplastiche sulla salute umana, l’obiettivo dello studio era semplicemente confermare la presenza di microplastiche, non individuare il loro effetto.

Secondo i ricercatori le microplastiche possono alterare diverse vie di regolazione cellulare nella placenta, come i meccanismi immunitari durante la gravidanza, la segnalazione del fattore di crescita durante e dopo l’impianto, le funzioni dei recettori delle chemochine atipiche che regolano la comunicazione materno-fetale. Tutti questi effetti possono portare a esiti avversi della gravidanza, tra cui la preeclampsia e la restrizione della crescita fetale.

Servono ovviamente ulteriori studi approfonditi per capire se la presenza di microplastiche nella placenta umana possa innescare risposte immunitarie o portare al rilascio di contaminanti tossici che risultano dannosi per la gravidanza.

Antonio Ragusa, direttore di ostetricia e ginecologia presso l’ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli di Roma, e che ha guidato il studio ha dichiarato ha dichiarato al The Guardian che

È come avere un bambino cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma un misto di entità biologiche e inorganiche.

Da sottolineare che in due placente non sono  stati trovati residui di microplastiche. Secondo i ricercatori questo potrebbe essere  il risultato di una diversa fisiologia, dieta o stile di vita delle donne.

preoccupa aò contempo un altro studio,  la ricerca dell’Istituto di scienze ambientali e occupazionali della Rutgers University, pubblicata ad ottobre. Gli scienziati  hanno dimostrato che  nanoparticelle di plastica di polistirolo inalate da topi femmine gravide vengono trovate nella placenta, nel fegato fetale, nei polmoni, nel cuore, nei reni e nel cervello.

Quanta plastica ingeriamo?

Secondo uno studio del 2019 del WWF International le persone potrebbero ingerire l’equivalente di una carta di credito di plastica alla settimana,  principalmente tramite l’acqua potabile,  ma anche attraverso alimenti come i crostacei.

La rivista Reuters per farci capire  visivamente di quanta plastica si tratta in un mese o in un anno o nel corso della vita,  ha  utilizzato i risultati dello studio per stimare che:

  • In un mese, ingeriamo il peso di un mattoncino Lego 4×2 in plastica
  • In un anno la quantità di plastica contenuta nell’elmetto di un pompiere.
  • In un decennio, potremmo mangiare 2,5 kg di plastica.
  • Nel corso della vita circa 20 kg  di microplastica.

Forse è ora di cambiare rotta sempre che non sia troppo tardi.

Riferimenti

Antonio Ragusa, Alessandro Svelato, Criselda Santacroce, Piera Catalano, Valentina Notarstefano, Oliana Carnevali, Fabrizio Papa, Mauro Ciro Antonio Rongioletti, Federico Baiocco, Simonetta Draghi, Elisabetta D’Amore, Denise Rinaldo, Maria Matta, Elisabetta Giorgini, Plasticenta: Microplastics in Human Placenta,bioRxiv 2020.07.15.198325; doi: https://doi.org/10.1101/2020.07.15.198325

Darena Schymanski, Christophe Goldbeck, Hans-Ulrich Humpf, Peter Fürst,
Analysis of microplastics in water by micro-Raman spectroscopy: Release of plastic particles from different packaging into mineral water, Water Research, Volume 129, 2018, Pages 154-162, ISSN 0043-1354, https://doi.org/10.1016/j.watres.2017.11.011.

Fournier SB, D’Errico JN, Adler DS, Kollontzi S, Goedken MJ, Fabris L, Yurkow EJ, Stapleton PA. Nanopolystyrene translocation and fetal deposition after acute lung exposure during late-stage pregnancy. Part Fibre Toxicol. 2020 Oct 24;17(1):55. doi: 10.1186/s12989-020-00385-9. PMID: 33099312; PMCID: PMC7585297.