Fecondazione eterologa in Italia: l’ovodonazione è una corsa ad ostacoli. La testimonianza di Alice

ovodonazione

Che cosa significa per una coppia e in particolare per una donna affrontare  un percorso di ovodonazione?

Ne parliamo grazie alla testimonianza di una nostra lettrice, Alice, che ci ha raccontato in questa intervista il suo problema di infertilità, le difficoltà e gli ostacoli incontrati nella ricerca di un figlio, come e dove è approdata alla fecondazione eterologa (nel suo caso ovodonazione)  e il percorso che sta attualmente seguendo.

Alice, come hai scoperto del tuo problema di infertilità?

Oggi ho 34 anni. Io e mio marito, abbiamo iniziato la ricerca di un figlio, quando ho compiuto 31 anni, 2 anni dopo esserci sposati. Ho scoperto di avere problemi di infertilità a 32, quando dopo quasi un anno di ricerca, “con metodo tradizionale”, non accadeva nulla; ogni mese il ciclo arrivava puntuale. A 33 anni è arrivata la diagnosi di infertilità primaria. Dopo un’infinità di dosaggi ormonali, innumerevoli visite ginecologiche e “simpaticissimi” esami specifici, come isteroscopie (prima diagnostiche, poi operative perché a quanto pare ho un canale cervicale stretto) e isterosalpingografie, l’unico esame che mi mancava era il dosaggio dell’ormone antimulleriano. La mia ginecologa, non sapendo più dove sbattere la testa, visti gli esiti perfetti di tutto l’elenco di esami sopra elencato, decise di farmi dosare l’ormone antimulleriano; che oggi raffiguro come l’uomo nero che di notte esce dall’armadio, mentre dormo al sicuro nel mio letto.

L’ormone antimulleriano o AMH, si dosa mediante un banalissimo esame del sangue. Non è un esame compreso in quelli obbligatori pre-concepimento (che io avevo eseguito). Nella mia regione (Lombardia), non è mutuabile e costa 63 euro. L’amh definisce “quanto tempo ci resta” prima che la nostra riserva ovarica si esaurisca. Ergo, stabilisce le nostre probabilità di un concepimento naturale senza problemi, in assenza di altre patologie maschili e femminili. Più il valore è alto e più significa che le nostre ovaie sono giovani, più e basso e più significa che ci stiamo avvicinando alla menopausa. Il mio risultato era 0,33. Nelle tabelle del range di valori indicati dal laboratorio di analisi, non era nemmeno contemplato. La mia età fertile era pari a quella di una donna di 48 anni.

 Immagino sia stato un bruttissimo colpo da assorbire..

Era luglio 2018 quando scoprii di non poter avere figli. Ricordo che trascorsi 3 giorni a piangere ininterrottamente, finché la mia ginecologa mi suggerì di tentare, anche se con scarse probabilità di successo, la strada della procreazione medicalmente assistita (PMA).

Ci terrei a sottolineare che all’epoca avevo un ciclo regolarissimo, ogni 28 giorni, abbondante i primi 3 giorni e meno intenso i successivi 5. Nulla era cambiato rispetto al solito. Non ho mai avuto infezioni né ginecologiche, né alle vie urinarie e ho sempre fatto controlli annuali dal ginecologo di fiducia, abbinati a pap test, sempre negativi ogni 2 anni. Niente faceva pensare che non avrei mai potuto avere figli, come tutti desidererebbero averne. Mai e poi mai, mi sarei immaginata di intraprendere la strada della procreazione medicalmente assistita per realizzare il nostro sogno di allargare famiglia. Mai e poi mai, avrei voluto trovarmi in questa situazione. Ma senza volerlo, e senza nessun segnale che potesse far presagire la mia infertilità, mi ci sono ritrovata; ed è stato terribile. Non lo auguro a nessuno.

Come avete iniziato a cercare una clinica per affrontare il percorso di PMA?

Come suggerito dalla mia ginecologa, iniziamo a cercare una clinica che ci possa seguire per la PMA. Abbiamo iniziato dalla Svizzera, ma poi scopriamo di poter usufruire nella nostra regione di 3 tentativi pagati dal SSN. Da questo punto di vista siamo stati molto soli. La mia ginecologa che non è esperta in infertilità non ci ha indirizzati da nessuna parte, siamo andati sulla fiducia del passaparola. Su esperienze vissute da amici e conoscenti. Accantonata la Svizzera che ci dava “buone probabilità di successo” ad un costo pari a 13.000 euro, senza nessuna garanzia che le cose sarebbero andate bene, approdiamo a Firenze, presso un centro privato convenzionato per il nostro primo tentativo di  fecondazione omologa.

Come è stato questo primo tentativo?

La dottoressa che mi ha visitata è stata chiara: “Avete pochissime probabilità di successo. Lei cosa ha fatto per avere un AMH così pessimo? Deve ingrassare, così com’è non resterà mai incinta”.

Umiliata, mortificata, con enormi sensi di colpa (inutili, perché non è colpa di nessuno la situazione in cui mi sono ritrovata), cerco di ingoiare il boccone amaro e ascolto chi mi dice di fidarmi dei professionisti (i medici). Mi sottopongo al protocollo terapeutico prescrittomi, alcuni farmaci sono passati dal SSN, altri no, ma anche qui, trovo ostacoli.

Il mio medico di base che deve trascrivere il piano terapeutico si oppone dicendomi che non può prescrivermi dei farmaci che sono stati indicati da un medico di un’altra regione. Secondo lui devo pagare tutto. Per fortuna li faccio il nome di una mia amica, sua paziente che non meno di un anno prima si era sottoposta al medesimo trattamento nella stessa clinica Toscana, alla quale lui aveva prescritto i farmaci senza tante storie.

In oltre trent’anni di rapporto professionale con lo stesso medico di base, quella era la prima volta che andavo a chiedergli qualcosa. Non ho mai avuto malattie, non ho mai chiesto mutua, tutti gli esami che ho fatto li ho sempre fatti a pagamento. Ovviamente imbarazzato, mi prescrive i farmaci, anche perché il giorno dopo, l’ho fatto chiamare dall’Asl della mia provincia presso la quale mi ero informata in merito all’esenzione di alcuni farmaci e al fatto che lui non volesse prescrivermeli. Il giorno stesso, l’Asl l’ha contattato per spiegargli la mia situazione e in giornata mi ha ricontattato dicendomi di passare in studio per ritirare le prescrizioni a cui avevo diritto, come da nota 74.

Un piccolo inciso; in questo percorso, che è molto difficile in termini emotivi e psicologici, oltre che fisici, ho trovato tanta solitudine.

Molti medici confusi, alcuni incompetenti, altri con tanti pregiudizi nei confronti trattamenti di fecondazione assistita.

Il primo tentativo di omologa (di fecondazione assistita tra partner), fallisce ancora prima di iniziare. La terapia viene sospesa dopo 9 giorni di trattamento. Le mie ovaie dormono.

Per fortuna mio marito prende in mano la situazione e contatta un centro di eccellenza della nostra regione, la Lombardia.

Io avevo perso le speranze.

Che possibilità  vi hanno dato in questo secondo tentativo?

Qui, già al primo colloquio, sono quasi convinta di optare per l’eterologa con ovodonazione (fecondazione assistita dove si utilizza il gamete maschile del partner e il gamete femminile di una donatrice esterna alla coppia).

La dottoressa, guarda gli esami fatti fino ad ora, e mi consegna il referto: “infertilità primaria, basse probabilità di successo, tentativo di PMA fissato per marzo 2019”. Era dicembre 2018. In soli 3 mesi, con SSN avremmo fatto un tentativo di fecondazione assistita, ma omologa perché in quel centro non si fa eterologa. Faccio il mio secondo tentativo, mi riempio di ormoni, le mie ovaie sono così gonfie che alla fine del trattamento fatico persino a camminare. Il risultato è un po’ più incoraggiante. Arrivo almeno al transfer, ma il giorno del dosaggio delle beta HCG, leggo un bel NEGATIVO.

Chiudo definitivamente il capitolo omologa, incoraggiata dalle parole della biologa che il giorno del transfer del mio unico embrione sopravvissuto in seconda giornata, mentre ero lì emozionatissima a zampe all’aria, mi dice che di 6 ovociti recuperati, solo 1 è arrivato vivo in seconda giornata, … d’altra parte la qualità dei miei ovociti è davvero scarsa.

Il momento emozionante del transfer è stato rovinato dalle sue parole, in quell’esatto istante capii che tutte le punture, le pastiglie, le sveglie all’alba per valutare la crescita ormonale con gli esami del sangue, i viaggi a giorni alterni dalla mia città a Milano (200 km a/r), le code, il traffico, le bugie e i permessi sul lavoro … non erano serviti a nulla.

A questo punto l’ovodonazione si prospetta come una valida alternativa  percorribile. Avete mai avuto ripensamenti su questa scelta?

Mio marito è un po’ dispiaciuto di non poter vedere una piccola me, in un tanto desiderato nostro figlio futuro, ma gli spiego che vedremo pur sempre un 50% di piccolo lui e che portarlo nella pancia per 9 mesi significherà molto di più di una somiglianza genetica, dipesa dal DNA. Cerchiamo, ci documentiamo, per fortuna scopro il forum “Ovodonazione” dove ottengo un sacco di informazioni utili e un vero sostegno, che nella vita reale mi manca.

Senza quello, sarei stata sola, come fino a quel momento. Scopro che in Italia, abbiamo ancora diritto a 2 tentativi con SSN. L’eterologa è concessa dal 2014. Il problema è dove? E chi la fa?

In Italia i centri pubblici o convenzionati che fanno la fecondazione eterologa sono pochi con liste di attesa molto lunghe. Se si fa privatamente, si paga  tutto, per un costo minimo pari a circa 8000 euro. Gli ovociti arrivano per la maggior parte quasi sempre dalla Spagna e, privatamente i tempi di attesa sono di qualche mese.

Alcuni centri fecondano in Italia gli ovociti provenienti dalle banche estere, altri spediscono il seme maschile all’estero, fecondano gli ovociti e fresco e poi congelano le blastocisti che vengo rispedite in Italia.

Tutto questo andirivieni di gameti ed embrioni accade perché  in Italia non si fa campagna pubblicitaria in merito,  non ci sono donatrici, non ci sono banche di ovociti,e non è previsto un compenso per chi dona i gameti.

Sempre grazie al forum “ovodonazione”, trovo un centro in Italia, pubblico, in Toscana, che esegue PMA eterologa. Si tratta dell’ospedale Careggi di Firenze.

Qui per tutte le donne toscane il servizio è a carico del SSN, mentre per chi viene da fuori regione deve pagare per intero come se facesse tutto il trattamento da privato. Scopro, contattando direttamente il servizio PMA eterologa dell’Ospedale Careggi, dove trovo una persona cordialissima, preparata, che risponde a tutte le mie domande, che tra la regione Toscana e Lombardia è stato siglato un accordo, per il quale io, lombarda, posso accedere al trattamento pagando un maxi ticket di 500 euro. Ovviamente dovrò essere inserita in lista d’attesa e aspettare il mio turno.

Non potevo credere di essere così fortunata. A fine aprile 2019 contatto l’ospedale, chiedo di fissare un primo appuntamento, che mi viene dato per l’8 maggio 2019. Prestissimo. Alla visita portiamo tutti gli esami fatti fino a quel momento, viene eseguito un colloquio congiunto tra noi, un andrologo e un ginecologo. Esco soddisfatta della professionalità, della trasparenza e dell’umanità che mi dimostrano i medici.

Cose che sinceramente fino a quel momento ho faticato a trovare. Ci chiedono alcuni esami aggiuntivi e il solito spermiogramma, da fare però tutti presso la loro struttura. Ovviamente venendo da fuori regione, cerchiamo di concentrare il tutto in una stessa data. La prima data utile, con SSN è il 22 ottobre 2019. Da quella data, se tutto andrà bene, saremo messi in lista e il nostro primo tentativo di ovodonazione verrà eseguito a maggio 2020.

Lo sconforto prende il sopravvento. Dovevo aspettare un altro anno e mezzo. Solo per fare un tentativo, che magari non sarebbe andato a buon fine.

Capimmo allora che l’eterologa in Italia nei centri  pubblici o convenzionati  è ancora un miraggio. Siamo rimasti indignati delle differenze tra regioni. Perché in ogni provincia, non esiste un ospedale che effettua PMA eterologa? Perché esiste una legge che la consente, se di fatto ci sono così tanti impedimenti?

Così, pur avendo diritto a farci curare nel nostro Paese, siamo costretti a rivolgerci a un centro privato e optiamo per  l’estero. Siamo costretti a pagare tutto di tasca nostra. Dopo varie mail in centri PMA  in Rep. Ceca, Ucraina, Svizzera e Spagna, decidiamo di farci seguire in Spagna.

Il giorno che mandai la mail, fui richiamata nello stesso pomeriggio, per fissare un primo colloquio gratuito tramite skype. Inviai così tutti gli esami fatti fino a quel momento. Al colloquio era presente la dottoressa responsabile del centro e il nostro interprete. La dottoressa capiva perfettamente l’italiano, ma parlava in spagnolo, ma comunque avevamo il nostro interprete molto bravo e dolce.

Ci piacciono, e molto. Per la prima volta sento che la distanza chilometrica non è un problema. La tecnologia, internet, il cellulare vengono in nostro aiuto.

In Spagna sembra tutto più semplice. Non serve andare direttamente in clinica per prenotare una visita o stare ore attaccati ad un telefono che è sempre occupato, come accade in Italia. In Spagna, sembra che tutto funzioni. Prevalentemente colloquiamo via mail, ma non esitano a contattarmi sul cellulare per aggiornarmi sulla nostra situazione.

A metà maggio decidiamo di tenere aperte le porte al Careggi e di tentare la nostra prima ovodonazione in Spagna. Per ragioni lavorative, assentarci per una settimana, senza molto preavviso, ci riesce difficile. Chiediamo alla clinica se è possibile programmare il tentativo per le due settimane centrali di agosto (le nostre vacanze estive). Loro ci dicono che non c’è alcun problema, che sincronizzeranno il mio ciclo e quello della donatrice, in modo da fare tutta la procedura da fresco, tramite l’assunzione della pillola.

Arriva agosto e noi decidiamo di prenotare 10 giorni di vacanza a Bilbao. Città bellissima, molto vivibile, ma freschina. A metà agosto non abbiamo mai superato i 24 gradi e le minime erano intorno ai 15 gradi. Ovviamente niente bagno nell’oceano, non si poteva rischiare un’infezione da sabbia ecc. o una banale influenza.

Facciamo il nostro primo tentativo di ovodonazione, terzo di PMA. Il nostro angelo, la nostra donatrice, la donna che mi permetterà di essere madre, colei che darà il 50% del suo patrimonio genetico a mio figlio, produce ben 10 ovociti. 9 vengono fecondati e crescono, con il seme di mio marito.

Dopo 5 giorni, solo uno arriva a blastocisti, con grande stupore per il centro stesso. Il 19 agosto mi sottopongo al transfer del mio embrioncino, come lo ha chiamato la dottoressa in sala transfer “El Pequenito”.

Dopo 12 giorni mi sottopongo al dosaggio Beta HCG e nuovamente scopro che è indosabile. Un nuovo negativo.

Il giorno dopo le beta, la clinica ci contatta per parlarci. Sono mortificati del risultato, dispiaciuti per il nostro dolore (in Italia non mi ha mai ricontattata nessuno per dirmi che gli dispiaceva). Visto il risultato, probabilmente è sfuggito qualche dettaglio su mio marito, che dalle analisi di routine sembrava a posto.

Ci chiedono quindi di fare un altro tentativo, pagato da loro, ma chiedono anche a mio marito di eseguire alcuni esami specifici sulla frammentazione del dna spermatico

Noi lo faremo. Non ci arrenderemo, a costo di volare in Spagna per fare un semplice esame del sangue.

Ad oggi la spesa totale tra esami, visite e tentativi, biglietti aerei e soggiorni, ammonta a oltre 20.000 euro. Se nel nostro Paese, avessi trovato medici più preparati sulle esenzioni, se si potesse fare davvero l’eterologa come prevede la nostra legge, ne avrei spesi forse 5.000.

Concludo dicendo che non è vero che si possono fare figli a 40 o 50 anni.

Le donne famose che sbandierano la loro figliolanza a quelle età, devono anche dire la verità per non illudere noi poverette. Hanno la responsabilità di dire che quel figlio è arrivato con la pma. Non è vero che c’è tempo per fare figli. Probabilmente io avrei dovuto avere figli non oltre i 25 anni, ma all’epoca non avevo le condizioni adatte per mettere su famiglia. Per questo è ora che si parli di più di social freezing.

Io avrei potuto congelare i miei ovociti a 20 anni se ci fosse stata informazione, avrei potuto risparmiare a me e a mio marito questo calvario, un sacco di soldi, sia a noi che al SSN.