Il difficile mestiere di padre: i nuovi papà alla scoperta delle emozioni

È un padre saggio quello che conosce il proprio figlio
William Shakespeare

Ci sono coppie che sognano da tempo che un figlio coroni il loro amore, ce ne sono altre in cui il bambino arriva in un momento inaspettato, altre ancora in cui è uno dei due componenti a desiderarlo così intensamente da coinvolgere anche l’altro con il suo entusiasmo.

Quello che è certo, è che dalla scoperta della gravidanza cambiano i discorsi, gli equilibri, le priorità, e perfino le abitudini: non solo niente sarà più come prima, ma l’attesa di un figlio è un avvenimento così importante da farci scoprire nuovi aspetti di noi stessi e perfino del partner.

I nove mesi dell’attesa rappresentano un periodo di grande rielaborazione del nostro vissuto:  valutiamo i nostri genitori e tutte le figure di accudimento con nuovi occhi, in molti casi con un senso di immensa gratitudine, in altri invece emergono vissuti più conflittuali. Giorno dopo giorno iniziamo a immaginare che tipo di genitori saremo, facendo tesoro del “buono” che abbiamo ricevuto e impegnandoci a migliorare il resto.

Immaginiamo anche che tipo di padre sarà il nostro partner per il bambino che arriverà, ma aspettative a volte giocano brutti scherzi.

Il ritorno a casa

Dopo la nascita del bambino, arriva naturalmente il tanto temuto momento del ritorno a casa dall’ospedale.

Se fino a poche ore prima c’era un’intera organizzazione di supporto, ora per i genitori è giunto il momento di cavarsela da soli e se stiamo parlando del primo figlio in particolar modo, c’è molto da imparare.

Ogni movimento del bambino, ogni pianto, o mancanza di pianto, ogni manifestazione del suo piccolo organismo è in grado di mettere in agitazione una famiglia intera. I genitori sono insicuri, i nonni dicono la loro, e pian piano inizia a generarsi il caos.

Ha mangiato troppo? Ha mangiato poco? Perché non dorme? Non dormirà troppo? Può capitare di sentirsi confusi e sopraffatti da un milione di domande, dubbi e timori.

Mesi e mesi di preparativi e poi ci si sente tutto d’un tratto così impreparati, goffi e sprovveduti che è facile venire travolti dalla disorganizzazione e dal panico.

Niente è come l’avevamo immaginato, niente è come ce l’avevano dipinto ai corsi preparto (spesso incentrati sugli aspetti positivi della nuova esperienza a meno con le difficoltà inevitabili che incontreremo).

Abbiamo visto per una vita immagini di mamme con il sorriso sereno allattare sulla poltrona di casa, appartamenti luminosi e ordinati, coppie complici e felici, eppure, non solo nella nostra casa regna la confusione più assoluta ma quella felicità che credevamo “inevitabile” non riusciamo a provarla, e il nostro compagno, che avevamo immaginato disinvolto e accudente si rivela una frana.

Abbiamo parlato tante volte di stereotipi, certamente non per fare inutile allarmismo alle mamme in attesa o alle neomamme, ma per metterle in guarda da “trappole” in cui ricadiamo troppo spesso, quelle della perfezione, quelle del “avrebbe dovuto essere diverso”. Non è e non potrebbe essere così per un motivo molto semplice: le esperienze autentiche, quelle che ci trasformano nel profondo, non sono mai passaggi di vita semplici, tantomeno indolori. Il cambiamento è fatica e bellezza insieme, come due lati della stessa medaglia che non possono fare a meno di coesistere.

nuovi papà

I padri di oggi: in bilico tra passato e presentealla ricerca di una nuova identità

Federico Ghiglione, nel suo “I papà spiegati alle mamme”, inizia il suo libro con parole che fanno riflettere:

I papà con i quali state decidendo di fare famiglia appartengono a una generazione di passaggio che sta cercando di capire come si fa il mestiere di genitore. Siamo tutti col fiato sospeso a guardare questi nuovi acrobati in bilico sul filo della mascolinità, sul crinale della virilità, senza sapere se riusciranno a trovare un equilibrio, se riusciranno a inventarsi un modo per rimanere saldi in un ruolo nel quale non si riconoscono più.

Da una parte del loro cammino c’è il burrone in cui cadranno se cercheranno di sovrapporsi al ruolo materno, dall’altro c’è un precipizio ancora più profondo se provassero a imitare i precedenti modelli di paternità, caratterizzati spesso da una lontananza emotiva e fisica che oggi risulterebbe difficilmente accettabile. Una figura quasi mitologica di padre autoritario, depositario delle regole, della morale e di un bagaglio culturale impossibile da mettere in discussione. Una figura lontana nel tempo, di cui avere quasi timore e per cui bisogna provare assoluto rispetto, anacronistica e per certi versi improponibile ai nostri giorni.

Date le premesse è comprensibile come gli uomini di oggi siano padri dall’incedere incerto, non hanno modelli di riferimento, comportamenti da cui prendere ispirazione: dovranno trovare da sé il “loro” modo di essere padri, azzardare, provare e riprovare.  Questo non significa certo che la paternità del passato sia da cestinare, significa solo che anche i nostri padri facevano parte di quell’esercito di uomini in cerca di identità, i primi che hanno iniziato a trasmettere i primi segnali di incertezza.

Gli uomini cresciuti con i modelli educativi degli anni ’30 e ’40 hanno vissuto l’avventura di formare una famiglia nel pieno della rivolta giovanile, nel periodo della nascita del pensiero femminista, quando ogni forma di autorità veniva pesantemente messa in discussione: “Il balzo in avanti che la società ha chiesto loro è stato un doppio salto mortale senza rete di protezione. Presentarsi all’appuntamento del matrimonio con tutti i dogmi dell’educazione di inizio secolo scorso e trovarsi a gestire tutte le richieste di uguaglianza e pari opportunità delle loro mogli. Accettare un modello di famiglia moderno dove i compiti sono condivisi e uno di paternità non più autoritario è stato ancora più difficile. I padri di oggi sono figli di un cambiamento sociale lungo e complesso che non è ancora concluso: è normale che il loro bagaglio culturale sia confuso e indefinito”.

Quello che gli uomini non dicono 

Ci sono uomini che con le emozioni si sentono impacciati, che faticano a riconoscerle, che non padroneggiano l’affettività, la fisicità, magari semplicemente perché non hanno avuto la fortuna di sperimentarle sulla propria pelle.

Oppure, non hanno avuto buoni maestri, e quando sentono arrivare quella fase di vita in cui saranno chiamati a tutto questo danno chiari segni di fragilità.

Gli uomini esattamente come noi, con l’arrivo di un bambino, possono avere paura. Paura che la loro condizione di padre possa compromettere l’equilibrio professionale, che il posto di marito compagno di vita venga scalzato, timore di non riuscire a trovare un modo di inserirsi nella “diade” mamma-bambino con un ruolo bel definito, e peggio ancora di non essere all’altezza di un compito così importante.

Se ci pensiamo bene, questo capita anche a noi, con la differenza che abbiamo più valvole di sfogo e possibilità di confronto: dai corsi pre-parto, ai gruppi di mamme (reali e in Rete) per una donna è molto più semplice trovare orecchie pronte ad ascoltarla. Durante la gravidanza l’attenzione è sulla donna, molto meno sulla nuova coppia genitoriale: questo fa sì che l’uomo viva questo delicato passaggio di vita come una lunga traversata in solitaria e con la grande paura, inconfessata e inconfessabile di deludere.

Superare le difficoltà: saper fare squadra

Raramente una coppia alle prese con la genitorialità pensa di doversi imbattere in emozioni “negative” o in sentimenti non totalmente positivi sul nuovo ruolo.

Eppure, una storia d’amore è anche questo: un percorso che attraversa tutte le stagioni della vita trovando ogni volta nuovi equilibri. Un meccanismo complesso che si alimenta giorno dopo giorno. Spesso si preferisce chiudere gli occhi sulle crisi, con la certezza che l’entusiasmo per la nascita spegnerà ogni problema, e che come per magia tutto si risolverà.

Il problema è che spesso non è così e le crisi di coppia possono trasformarsi in distanze incolmabili, proprio quando in periodi così delicati della vita si ignorano le difficoltà andando incontro a un fallimento della riorganizzazione familiare che l’arrivo del bambino impone.

Qual e allora la risposta? La risposta è che non esiste una “medicina” a tutto questo se non accettare la complessità e partire proprio da una presa di coscienza della nuova situazione. L’unico modo è fare squadra, pensando realmente ai bisogni di ogni singolo componente della famiglia con la stessa importanza dei propri.

Le donne qui sono fondamentali, ancora una volta: non devono dimenticare che i papà si stanno avventurando in un sentiero nuovo e impervio, quello delle emozioni, un mondo nuovo in cui possono vivere con libertà i sentimenti.

Dopo esperienze fallimentari di scimmiottamento delle madri (i cosiddetti “mammi”) i padri stanno partendo per una nuova avventura verso una genitorialità di valore, dove il valore sta proprio nella diversità di approccio.

Questi nuovi pionieri vanno incoraggiati e sostenuti nella libertà di sperimentare e di mettersi alla prova, ricordando che pioniere sono anche le donne: solo ponendosi nei confronti di questi “nuovi” uomini, con rispetto, entusiasmo e incoraggiamento, si potrà dare vita a famiglie solide, che resistano con coraggio a tutte le intemperie della vita.