Gravidanza dopo un tumore al seno, la testimonianza di una mamma che ce l’ha fatta

gravidanza dopo un tumore al seno Di tumore al seno si può guarire. In Veneto il 90% delle donne colpite da tumore alla mammella  guarisce.

Mentre fino a pochi anni fa ci si concentrava soprattutto, e giustamente, sulla sopravvivenza della paziente, negli ultimi anni visti i progressi della medicina che ha permesso una continua diminuzione dei tassi di decesso legati alla patologia, e i progressi nelle tecniche di fecondazione assistita, non si può più trascurare  la questione fertilità e la sua preservazione.

Moltissime donne alla diagnosi non pensano alla fertilità, perché ovviamente sono preoccupate dall’urgenza di sconfiggere la malattia. Compito dell’oncologo però è anche quello di prospettare alla paziente la possibilità esistenti di conservare la propria capacità di diventare madre una volta guarita. Tutte le pazienti oncologiche andrebbero informate in tal senso, non farlo, o farlo nel modo sbagliato,  sarebbe una grave mancanza.

Si tratta di un lavoro  di equipe  tra oncologi e  ginecologi esperti in riproduzione assistita del centro PMA dell’ospedale più vicino, una consulenza che deve

  • spiegare alla paziente gli effetti sulla propria capacità riproduttiva di una chemioterapia, o di una radioterapia o di una terapia ormonale
  • offrire tutte le possibilità possibili per preservare la fertilità.

Brevemente ricordo che le probabilità di entrare in amenorrea secondaria o menopausa permanente dopo la chemioterapia aumenta, più aumenta l’età della donna (10 % per le donne con età inferiore ai 35 anni, 50% per donne con età compresa tra i 35 e i 40 anni, 85% per donne con età superiore ai 40 anni). Non tutte le chemio hanno gli stessi effetti e anche se si riprende il ciclo mestruale non è detto che la donna torni fertile.

Le terapie ormonali/endocrine anche se non causano amenorrea permanente, durano 5-10 anni  e in questi anni non si possono avere gravidanze. È attualmente in corso uno studio, chiamato POSITIVE, per valutare  se sia sicuro interrompere il trattamento anti-ormonale in giovani donne con tumore al seno ormone-sensibile che desiderano una gravidanza. Lo studio coinvolgerà 500 pazienti nel mondo nel corso di 4 anni. Le pazienti saranno controllate per 10 anni dopo l’inserimento nello studio.

Lo studio prevede il trattamento con terapia endocrina per 18-30 mesi, l’interruzione della terapia, 3 mesi di pausa e altri 2 anni per tentare la ricerca della gravidanza. Poi è prevista la ripresa della terapia per 5-10 anni.

Per informazioni: Studio Positive

Come preservare la fertilità prima di una terapia contro il cancro?

Attualmente ci sono due tecniche su tutte:

La testimonianza

Conosco il mio attuale compagno a 33 anni. Dopo diversi flop relazionali, finalmente le cose vanno bene. A 34 anni la scoperta fortuita e casuale di un carcinoma mammario infiltrante, her2 positivo, reattivo agli ormoni + linfonodo sentinella “sporco”. In pratica, un tumore maligno non enorme (poco più di 1 cm), ma con un alto tasso di crescita fomentata dagli estrogeni. È appena iniziata l’estate, c’è poco tempo. Mi sospendono subito la pillola, scelgono di non sottopormi ad alcuna stimolazione, attivano il protocollo di soppressione ciclo con triptorelina (decapeptyl) e mi prelevano  in laparoscopia 1/3 del mio tessuto ovarico da ambo i lati. 

In pratica, delle diverse metodiche possibili nel mio caso, vista la buona riserva amh di partenza (3,06 su range di 1,3-4) e dato il relativo poco tempo (diagnosi a inizio luglio, quadrantectomia ad agosto, chemio ad ottobre) optano per quella più sperimentale, la vitrificazione del tessuto ovarico. 

Non mi è ancora chiaro il motivo della scelta, ma credo di essere stata indirizzata a quel centro solo per incrementare il numero di pazienti studiati dall’equipe di allora. Lo dico perchè all’epoca nessuno mi disse che a due passi da me c’era il centro di Bologna e, a quanto ne so, unici in Italia ad aver ottenuto la prima gravidanza con reimpianto nel 2018.  

A distanza di più di due anni dall’inizio della chemioterapia (a cui sono seguite radio, trastuzumab e tamoxifene) cerco di capire con la mia oncologa, che in questo percorso mi è stata vicina umanamente oltre che professionalmente, se sia possibile interrompere triptorelina e tamoxifene per avere una finestra di tempo in cui cercare una gravidanza. I pareri sono discordi, il primario non vorrebbe ma lei accetta. Sa che per me avere un figlio è sempre stata una priorità,  e sposa l’idea che la gravidanza non influisca negativamente sulla possibile ricomparsa del tumore. La scelta non è leggera, ma ne sono convinta. A distanza di mesi, il ciclo riprende, con valori ormonali brutti: amh fluttua da 0,43 a 0,76, fsh in terza giornata a 25. Qui iniziano i pareri discordi. 

Nel mio ospedale è attivo solo un laboratorio per infertilità di coppia che si limita alla IUI Non dialoga minimamente con oncologia, così vengo a sapere della sua esistenza solo molto più tardi. 

Mi sono rivolta al centro PMA più vicino, in Veneto, dove mi hanno detto che l’ovulazione per loro era impossibile dati tali valori. Sono tornata  infine nell’ospedale dove mi avevano prelevato il tessuto ovarico per richiedere il reimpianto e, seconda brutta sorpresa, mi è stato sconsigliato. Da tenere come ultima spiaggia in quanto, secondo loro, il danno che aveva subito il tessuto unito all’ulteriore danno durante l’operazione di reimpianto, era molto esteso e poteva non dare risultati diversi da quelli di un mio ciclo spontaneo. 

È stato un duro colpo rendermi conto di come stavano realmente le cose, un’operazione come questa condotta in modo sbagliato avrebbe potuto precludere tutte le possibilità di diventare mamma. Invece sono stata fortunata… nonostante tutto del mio tessuto ovarico era rimasto qualcosa, anche se poco.

Dopo una IUI senza risultati la ginecologa che mi ha seguito, e a cui devo molto,non senza un consulto con l’ Ieo (Istituto Europeo di Oncologia) che stava conducendo studi su casi come il mio, mi ha indirizzata in un nuovo ospedale  per sottopormi ad un ciclo di ICSI particolare: avremmo provato la stimolazione ormonale classica abbinata all’uso del letrozolo per tamponare un eccessivo innalzamento degli ormoni nel sangue (sempre per l’alta sensibilità del mio carcinoma agli estrogeni) 

Mi avrebbe seguito una ginecologa contattata dalla mia  ma, altra sorpresa, la commissione etica dell’ospedale qualche giorno prima del presunto inizio della terapia ha rifiutato di gestire il mio caso, così sono stata “passata” a Bologna. 

Dopo altre visite preliminari, proprio il mese in cui avrei dovuto iniziare la terapia, il ciclo non è arrivato. Ho effettuato un test di gravidanza solo per scrupolo e puoi immaginare la sorpresa nel constatare che ero incinta… è avvenuto tutto in modo naturale, quando proprio non ci pensavamo perchè sapevamo che avremmo seguito altre strade, e -ironia della sorte- quando non avevo messo in atto nessuna “strategia” per facilitare il concepimento. 

Con un AMH di 0,50, un FSH  a livello di menopausa, un valore di LH  che non veniva quasi rilevato dagli stick ovulazionem, non lo avrei mai creduto possibile, e invece è successo.

La gravidanza è proseguita senza intoppi fino al 7 mese, quando i miei livelli di ca (marker tumorale)  si sono alzati all’improvviso. 

Ci sono opinioni controverse sulla   utilità di questo marcatore, ma per prassi sono anni che mi viene misurato. Sono arrivata ad avere valori alti (96 quando il limite segnalato è < 23) che i miei medici non hanno saputo come interpretare. Dati i pareri discordi ci siamo rivolti nuovamente al dott. Alessandro Peccatori, e quando lui stesso ha detto di non aver mai assistito ad un aumento tale, abbiamo preso la decisione di indurre il parto non appena possibile: a 36 settimane, per poi poter controllare eventuali recidive tramite tac. 

Così dopo 30 ore di travaglio, a 8 mesi è nato mio figlio. Alla tac non è emerso nulla e, già il giorno dopo il parto, il marker si è dimezzato, dimostrando che il suo aumento era imputabile alla sola gravidanza. 

Tutto è bene quel che finisce bene, anche se mi sono sentita in colpa nel pensare allo stress a cui ho sottoposto il mio bimbo… nato di 2 kg, ricoverato una settimana in TIN sotto ossigeno per distress respiratorio iniziale e con una forte penalizzazione dell’allattamento naturale dato che inizialmente riusciva ad alimentarsi solo a biberon e non si è mai abituato del tutto al seno (uno solo, ma funzionante) . Ma so che non avrei potuto prendere una decisione diversa all’idea di una recidiva. 

Non è retorica quando si dice che la gioia che da un figlio è così grande che si può intuire, ma non capire, se non la si prova. È un amore viscerale, che non mi ha fulminato al momento della nascita nonostante la grande emozione, ma che sta crescendo giorno dopo giorno nel vivere assieme e nell’accompagnare questo nuovo essere umano in quello che sarà il suo percorso di vita. Io mi ritengo davvero tanto fortunata e se tornassi indietro, anche con lo spauracchio del ritorno del tumore, rifarei tutto. 

Spero che la mentalità attuale della mera sopravvivenza cambi. Mi auguro che, nelle specificità di ogni diverso caso e nella tutela prima di tutto della salute della donna, si metta maggiore impegno nel cerare di trovare soluzioni anche per le donne che, dopo essere state costrette a rinunciare a parte della loro femminilità, almeno non si vedano negate quella splendida possibilità che è la maternità e che va a completare il nostro essere. 

Per partire basterebbe una maggiore informazione tra dipartimenti e la proposta di percorsi da ragionare assieme.

Grazie per avermi ascoltata.

L.