I bisogni del neonato

Insieme ai primi consigli non richiesti su ogni possibile argomento, dall’allattamento, alla delicata transizione da coppia a genitori, al tema della nanna, a tutto il resto, alle aspettative spesso irrealistiche sul ruolo materno di cui la società ci riempie la testa, sorge spontanea una delle prima domande: “Quali sono i bisogni del neonato?”.

Quando il primo bambino rise per la prima volta, la sua risata si sbriciolò in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là.
Fu così che nacquero le fate
Peter Pan

Ogni mamma anche dopo tanti anni ricorda il momento il cui per la prima volta ha stretto a sé il suo bambino: l’emozione di abbracciare e accarezzare quella creatura meravigliosa, tanto immaginata e desiderata nei nove mesi della gravidanza è qualcosa che nessuna parola riuscirà mai a descrivere in ogni sua sfumatura. Lo stato d’animo di una neomamma è una giostra di emozioni che spaziano dalla felicità al timore.

Paura di scoprirsi non all’altezza di un privilegio e insieme di una responsabilità così grande, di sbagliare, di non riuscire a interpretare correttamente i bisogni del neonato.

E così, insieme ai primi consigli non richiesti su ogni possibile argomento, dall’allattamento, alla delicata transizione da coppia a genitori, al tema della nanna, a tutto il resto, alle aspettative spesso irrealistiche sul ruolo materno di cui la società ci riempie la testa, sorge spontanea una delle prima domande: “Quali sono i bisogni del neonato?”.

Spesso le neomamme, fin dalla gravidanza, si imbattono in esperti improvvisati che dispensano consigli e sentenze credendo di conoscere perfettamente l’universo dei bambini. Tutto sommato, a sentire loro, non ci vuole granché per prendersi cura di quella piccola vita tenera e indifesa forse capace di qualche rudimentale emozione e poco più. Basterà nutrirlo se ha fame, ninnarlo se ha sonno, cambiarlo quando ne ha bisogno. Invece, proprio chi i bambini li conosce e accudisce per davvero, sa che queste descrizioni semplicistiche non sono altro che utopia e che la realtà è ben altra cosa. Più osserviamo i piccoli, più cerchiamo di cogliere gli infiniti messaggi che ci mandano, più ci rendiamo conto he il neonato è complesso, sensibile e che per decifrarlo ci vogliono enorme capacità di osservazione e altrettanta umiltà.

Secondo il famosissimo pediatra Marcello Bernardi, autore di oltre sessanta pubblicazioni a carattere scientifico e appassionato della libertà dei più piccoli, la sensibilità del bambino è qualcosa di complesso che i genitori devono imparare piano piano a decifrare, così come i suoi bisogni.

 Ambiente sereno

Il bambino sente con sorprendente acutezza la situazione psicologica di chi gli sta vicino, cioè l’umore dei genitori, le loro tensioni, i loro stati d’animo. La prima cosa di cui ha bisogno un neonato, a parte ciò che gli assicura la sopravvivenza, è un ambiente familiare disteso e sereno.

So benissimo che questo discorso è facile da fare e molto meno facile da tradurre in pratica. Noi, tutti noi, viviamo in un mondo tormentato e contradditorio, pieno di insicurezza e di ingiustizia, di problemi sociali, economici, politici e morali. L’incessante minaccia di conflitti, l’incertezza dell’avvenire, l’alienazione, i grattacapi, il lavoro, le tasse, i bisogni quotidiani, la salute dei nostri cari, queste e altre innumerevoli angustie ci travagliano da mane a sera, non di rado turbando il nostro sonno: è facile oggi essere nervosi. Ma se vogliamo bene al nostro bimbo dobbiamo proprio cercare di non esserlo.

Un papà che rientri in casa la sera sopraffatto da un suo fardello di affanni, che grugnisca torvamente poche parole, che non sia capace di sorridere, crea immediatamente un’atmosfera della quale il bambino, per pur piccolo che sia, risente in modo notevole.

Così come risente di un clima elettrico provocato da una mamma agitata, inquieta, triste o scontenta.

Bisogna veramente fare in modo di evitare tutto questo: sforzatevi di lasciare le preoccupazioni fuori dall’uscio di casa vostra.

Conclude Bernardi: “Nell’allevamento di un bambino nessuno ha ragione e nessuno ha torto: l’unico che ha sempre ragione è il bambino stesso, e il compito dei genitori è quello di aiutarsi l’un l’altro e capire le esigenze del loro piccino. E nient’altro che questo”.  

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Essere vestito con buonsenso e cambiato spesso

Sul vestiario dei piccoli e sul cambio le opinioni e le scuole di pensiero sono le più disparate. Fino al momento in cui il bambino è stato in ospedale ci hanno pensato infermiere e puericultrici, ma quando mamma e papà varcano la soglia della porta di casa è il momento in cui diventa chiaro a tutti che bisogna iniziare a cavarsela da soli.

I dubbi sono sempre molti. Quando cambiare il piccolino? Anche su questo punto ci vengono in aiuto le parole del pediatra:

Su questo tema ne sono state dette di tutti i colori: che non si deve cambiare il neonato dopo la poppata altrimenti prende freddo e gli si blocca la digestione, che non si deve cambiarlo quando dorme altrimenti gli si interrompe il sonno, che il bagnato non gli fa alcun male perché il bambino sta ben coperto e al calduccio. In realtà la risposta all’interrogativo è molto semplice: il bambino va cambiato, possibilmente, tutte le volte che si sporca o che si bagna. Ha appena mangiato? Non importa, cambiatelo ugualmente, non prenderà freddo al pancino e non gli si bloccherà la digestione.

Dorme? Ebbene, cambiatelo anche in questo caso delicatamente e senza sballottarlo di qua e di la. A questo proposito sia ben chiaro che non è affatto vero che lo sporco e il bagnato sono innocui, purché il bambino sia al caldo.

I prodotti di rifiuto dell’organismo, feci, urine, sudore, latte eventualmente rigurgitato sono tutti irritanti per la pelle e il loro contatto è sempre dannoso.

Perciò cambiate pure il vostro neonato anche cinquanta volte al giorno, senza paura e in qualunque momento.

Quindi, senza timore, cambiamolo e teniamolo pulito: il bagnetto è un momento della giornata di grande importanza, un rituale rilassante che precede la nanna (che con il tempo può diventare anche un ulteriore momento di divertimento e di svago per il piccolino) e un ulteriore occasione di contatto con mamma e papà.

Aria e luce

A quale età il bambino può essere portato fuori a passeggio? La risposta è: subito, da otto-dieci giorni di vita. Che si debbano aspettare quaranta giorni è una leggenda, al contrario, l’aria fresca, è davvero necessaria per la salute dei bambini. La durata della passeggiata sarà sempre maggiore con il trascorrere del tempo e dipenderà ovviamente dalla stagione dell’anno e dalle condizioni metereologiche. Il piccolo dovrebbe essere sempre a suo agio, né soffocato dal caldo, né sottoposto a un freddo polare.

Tuttavia le condizioni del tempo non devono essere un impedimento: anche con un freddo intenso un neonato ben coperto può tranquillamente fare la sua passeggiata quotidiana. L’unica condizione a cui prestare seriamente attenzione è il vento forte, che sollevando la polvere che viene respirata dal bambino irrita le sue mucose e può essere un veicolo di infezioni. In un modo o nell’altro è comunque essenziale che il bambino abbia la sua dose di aria aperta al giorno. E questo vale anche per il neonato.

Vita regolata

L’inflessibilità e la rigidezza con i bambini non pagano, anzi, portano all’effetto contrario: “Abbiamo visto che non si deve mai usare la rigidezza, l’inflessibilità, il puntiglio, nell’allevamento di un bambino. Non si deve costringerlo a mangiare controvoglia solo perché è l’ora, o decidere che deve dormire in quel momento perché abbiamo deciso così, non si deve trattarlo come un congegno ad orologeria. Ma non si deve nemmeno favorire la sregolatezza e la confusione. Il bambino ha bisogno di un certo ordine. Elastico finché si vuole, adattato alle esigenze della sua personalità, ragionevolmente variabile, ma un ritmo ci vuole”.

Se vogliamo che i nostri bambini siano sereni, una regolarità è necessaria, un ritmo da costruire e adattare ai bisogni di tutta la famiglia va messo a punto, certamente non uno schema rigido e inflessibile, ma un punto di partenza darà loro la routine e la prevedibilità necessaria alla loro età.

Essere ascoltato

Sul pianto del bambino, come su tutto il resto, il coro di chi crede di sapere più degli altri fa sempre sentire la sua voce.

Interpretare il pianto del neonato non è sempre immediato: il piccolo ha solo questo mezzo a sua disposizione per farsi ascoltare e far capire che qualcosa non va, e chi si prende cura di lui deve imparare a decodificarlo correttamente.

Se c’è però un’interpretazione unicamente errata è quella di credere che piangendo il piccolo riesca a manipolare i genitori, che in qualche modo possa essere “furbo”: chiariamo subito, non ne sarebbe nemmeno in grado.

I vizi non esistono, esistono i bisogni. A volte un neonato che è stato nutrito, cambiato, a cui sono state date tutte le cure, piange e non è semplice capirne il motivo.

Forse ha solo bisogno della nostra compagnia, della nostra voce, di un nostro abbraccio. Non ha altro modo per farcelo capire, ma stargli accanto, anche quando siamo esausti dalla stanchezza e dalle notti senza sonno è quanto di più importante possiamo fare per lui. Sapere che chi lo ama accorre al suo pianto, e un paio di braccia salde sono sempre pronte a dargli conforto, è una consapevolezza che porterà con sé per tutto il resto della sua esistenza.

A cura di Valentina Desario