Come gioca il mio bambino? Campanelli di allarme da monitorare

Avete mai osservato come gioca il vostro bambino? A me ogni tanto capita di mettermi  a guardarli quando pensano di non essere visti ed è bello vedere quanto siano creativi e quanto, in quello che dicono o in come si muovono, cerchino di imitare noi genitori.

Questo ci fa capire ancora di più quanto sia importante il modo con cui ci poniamo verso di loro. I miei figli hanno caratteri molto diversi, estroversa la bimba e molto introverso il maschietto. La prima non ha mai avuto problemi nel fare amicizia con bimbe della sua età, a scuola o in vacanza; le piace inventare, creare, costruire anche se ha una certa indole a comandare nel gioco, Probabilmente ha preso da me 🙂

Il bimbo invece è estremamente timido e questo lo limita nell’approccio con gli altri. Negli ultimi anni è migliorato molto anche se a piccoli passi, e adesso lo vedo più a suo agio in mezzo agli altri bimbi anche se per sua indole preferisce il gioco in solitaria. Mi sono sempre chiesta se il gioco e il modo con cui i bimbi miei o degli altri si approcciano al gioco stesso, possa essere uno specchio di una più ampia situazione interiore del bambino. Lo  psicologo  Dott. Luca Mazzucchelli, a cui lascio la parola qui di seguito, ci spiega in modo molto chiaro ed esaustivo quando ci dobbiamo preoccupare se vediamo alcuni segnali particolari nel modo in cui i bambini si approcciano al gioco:

Spesso nella pratica clinica ho a che fare con genitori molto attenti ad ogni minimo segnale di possibile disagio dei loro figli: dall’aspetto dell’alimentazione a quello motorio, dallo sviluppo del linguaggio alle modalità relazionali con i coetanei.

E’ bene mostrare attenzione verso i propri bambini, ma noto come frequentemente ci si allarmi davanti a comportamenti normali, minimizzando invece gli atteggiamenti che dovrebbero destare attenzione.

Il tema del “come gioca il bambino”, ad esempio, non viene spontaneamente sollevato durante i colloqui dalle persone con cui lavoro.  Eppure attraverso il gioco dei bambini si possono vedere molte cose, ed è per questo bene che i genitori inizino a prestarvi attenzione.

Per valutare il benessere psicologico del bambino una delle modalità più utilizzate è l’osservazione del gioco.

 Il gioco, infatti, ha un ruolo importantissimo nello sviluppo psicologico, fisico e sociale dei bambini, in quanto stimola la fantasia, la creatività, la socializzazione, lo sviluppo motorio e la consapevolezza di sé.

Che tipo di persone saremmo se private di queste caratteristiche?

Durante il gioco il bambino elabora, comprende, contiene le proprie emozioni e allevia le tensioni dominando gli eventi traumatici e dolorosi. Perciò attraverso l’osservazione del gioco è possibile individuare eventuali problematiche e difficoltà.

Vediamo quali possono essere i 4 fattori da monitorare e sui quali interrogarsi:

  1. Il bambino che non gioca

Il gioco per i bambini è una funzione di base e va valutato alla stregua di un suo parametro vitale. In sua assenza ci troviamo davanti ad un segnale di malessere da discutere quanto prima assieme ad un esperto.

  1. Il bambino che non gioca da solo

Fino a tre/quattro anni è normale che il bambino alterni momenti in cui gioca in autonomia ad altri in cui richiede la presenza di un genitore. Se il bambino però non riesce a giocare senza un adulto di riferimento questo deve far porre delle domande ai genitori.

La richiesta costante di un genitore potrebbe avere diversi significati, e non posso qui fornirne una panoramica completa.

Tuttavia si tengano a mente queste due line guida:

  • Potrebbe essere un bisogno di attenzione e accudimento e in questo caso si potrebbero proporre modi di stare insieme alternativi, oltre al gioco, per rassicurare il bambino sulla disponibilità del genitore.
  • Potrebbe rappresentare una richiesta di approvazione rispetto a ciò che si sta facendo. Questo accade nelle famiglie dove la percezione di sé è costruita sul giudizio degli altri, perchè è come se il bambino dicesse: “senza gli altri che mi definiscono io non esisito”. In questo caso solitamente può giovare un intervento psicologico sull’intero nucleo familiare.

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  1. Il gioco aggressivo.

Che ci sia dell’aggressività durante i giochi è sano, dato che il gioco è una modalità per sfogare la rabbia che non verrebbe accettata in altri contesti.

Quando scaricare la rabbia diventa però l’unico modo di giocare allora occore capire cos’è che crea frustrazione e aggressività nel bambino e risolvere il problema.

Spesso è anche utile che il genitore si interroghi sui suoi modi di gestire l’aggressività e sul modello che fornisce al figlio su come rapportarsi ed esprimere le emozioni forti e “ingombranti”.

Non dimentichiamo che i figli si crescono molto attraverso l’esempio che forniamo loro.

  1. Il bambino irrequieto:

Quando un bambino non riesce a concentrarsi su un gioco per più di pochi secondi e salta nervosamente da un’attività all’altra senza provare alcun tipo di piacere e soddisfazione, dietro a questi comportamenti potrebbe esserci una forte ansia che tenta di dominare.

Anche su questo 4 punto, come per i precedent, non ci sono ricette semplici da seguire per “riparare” il bambino (termine veramente fuori luogo, ma che riporto virgolettato perchè l’ho ascoltato da diversi genitori), ma occorre invece comprendere il significato di questi atteggiamenti per riflettere sulle modalità attraverso le quali la famiglia possa aiutare il bambino a ritrovare un suo equilibrio.

Parlo di intervento sulla famiglia perchè l’origine di eventuali criticità non sono mai “solo” del bambino, ma vanno ricercate nell’ambiente in cui vive.

Occorre uscire dalla logica per cui il problema sia dentro una persona, e avvicinarci a quella per cui la difficoltà si trovi “tra” le persone.

Di più: molto spesso i problemi dei bambini sono soluzioni a difficoltà a monte, nel rapportro tra i genitori o tra loro e le famiglie di origine. Un’idea molto complessa da accettare e comprendere per la maggior parte delle famiglie, ma portata alla ribalta dalla psicoterapia della famiglia.

Anche per questo motivo piuttosto che definirli “problemi” dovremmo chiamarli “modi di comunicare un malessere” spesso sentito da tutto il sistema in cui il bambino è immerso.

Una ragione in più per fermarsi ad ascoltarlo e comprenderlo tutti assieme.

Come potete capire da quanto spiegato dal Dott. Luca Mazzucchelli è importantissimo imparare a fermarsi, nel frastornante tran-tran quotidiano,  presi come siamo da mille incombenze, per fare un cosa tutto sommato semplice e che non costa nulla: l’osservazione dei nostri bambini e il loro ascolto. Sembrano cose scontate ma delle volte lo facciamo in modo superficiale preoccupandoci, giustamente, se sta bene, se ha mangiato, se dorme a sufficienza. Ma il comportamento è una cosa che non possiamo sottovalutare e che ci può far capire se può esistere un disagio, anche piccolo,  che va risolto insieme.

 

Bibliografia

Castellazzi (2000), Quando il bambino gioca. Diagnosi e psicoterapia, LAS – Roma

Giani Gallino (1991), Il compagno immaginario nel processo di socializzazione, in Psicologia dell’età scolare (A cura di Maria D’Alessio), Carocci Roma