Procreazione medicalmente assistita (PMA) e diagnosi pre-impianto: i punti principali della legge n.40

La legge italiana si occupa in modo dettagliato delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità.

L’impianto fondamentale della regolamentazione si trova nella legge n. 40 del 2004[i], anche se la giurisprudenza è intervenuta in materia in modo molto incisivo.

 Attualmente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere in altro modo le cause impeditive della procreazione. Per accedervi, i casi di sterilità ed infertilità devono essere documentati da un atto medico.

Possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solamente le coppie di maggiorenni di sesso diverso, che siano coniugate o conviventi, ed in età potenzialmente fertile. Entrambi i componenti della coppia devono essere ancora in vita. E’ poi espressamente vietata la fecondazione eterologa, che si realizza quando il seme oppure l’ovulo  provengono da un soggetto esterno alla coppia.

ATTENZIONE: il 9 aprile 2014 la Corte di cassazione ha annullato il divieto di fecondazione eterologa in Italia.

La legge, poi, pone delle condizioni molto restrittive a tutela del nascituro: per prima cosa, infatti,  i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita avranno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che avrà fatto ricorso alle tecniche.

In secondo luogo, a differenza dei bambini nati senza l’applicazione delle tecniche di PMA, la madre non potrà dichiarare la volontà di non essere nominata[ii] e il padre non potrà esercitare l’azione di disconoscimento della paternità[iii].

In sostanza, una volta fatta la scelta, non si può tornare indietro.

Gli interventi di procreazione medicalmente assistita sono realizzati nelle strutture pubbliche e in quelle private che siano state autorizzate dalle regioni e iscritte in un apposito registro[iv]. Le opzioni terapeutiche a cui la coppia può in concreto accedere sono dettagliatamente descritte nelle linee guida del ministero della salute[v], nelle quali si sottolinea come si debba tenere in conto, in primo luogo, dell’età della donna.

Arriviamo ora allo spinosissimo problema della tutela dei diritti dell’embrione nato da PMA, e di come conciliarlo con quello della tutela della salute degli altri soggetti coinvolti, in particolare della madre.

La legge, all’art. 13, stabilisce che è vietata ogni forma di sperimentazione sugli embrioni. E’ consentita la ricerca clinica e sperimentale solamente a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche, volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, laddove non siano possibili metodologie alternative.

E’ espressamente vietata la crioconservazione e la soppressione degli embrioni (mentre è possibile la crioconservazione dei gameti sia maschili che femminili, a seguito di consenso scritto). L’unica eccezione si ha qualora il trasferimento nell’utero non risulti possibile per una grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, causa non prevedibile al momento della fecondazione. Il trasferimento dovrà comunque avvenire il prima possibile, ma senza pregiudizio per la salute della donna.

Originariamente la legge prevedeva che le tecniche di produzione degli embrioni non dovessero creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre. Su questo punto è intervenuta la Corte Costituzionale[vi], che ha abolito sia il limite dei tre embrioni, sia la necessità di un unico impianto. In sostanza, ora ogni medico potrà decidere in autonomia la soluzione migliore caso per caso.

L’art. 14, comma 4, vieta la riduzione embrionaria delle gravidanze plurime[vii].

Infine, la questione della diagnosi pre-impianto. Essa era originariamente vietata dalle linee guida ministeriali (adottate con D.M. 21.7.2004); a seguito dell’intervento del TAR Lazio[viii] prima e della Corte Costituzionale poi, il divieto è caduto, a meno che si realizzino sperimentazioni vietate o si perseguano finalità eugenetiche.

Dott.ssa Nadia Andriolo


[i]     https://www.camera.it/parlam/leggi/04040l.htm
[ii]   articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
[iii]   Anche se limitatamente ai casi previsti dall'articolo 235,
primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile,  e all'impugnazione di cui
all'articolo 263 dello stesso codice. Tutto questo anche se la fecondazione
è stata eterologa e quindi in violazione del divieto posto dalla legge.
[iv]L'elenco delle strutture è disponibile nel sito http://www.iss.it/rpma/
[v] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_469_ulterioriallegati_ulterioreallegato_0_alleg.pdf
[vi]   http://www.giurcost.org/decisioni/2009/0151s-09.html
[vii]  salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194
(per intenderci, la legge sull'IVG).
[viii] Con la sentenza 398/08