Sindrome del bambino scosso: non lasciamo soli i genitori

“Io penso di vedere qualcosa di più profondo, più infinito, più eterno dell’oceano nell’espressione degli occhi di un bambino piccolo quando si sveglia alla mattina e mormora o ride perché vede il sole splendere sulla sua culla.”

V.Van Gogh

 Questi, senza troppi giri di parole, sono numeri che fanno rabbrividire: negli USA 30 bambini ogni 10.000 nati l’anno subiscono importanti danni causati da una forma di maltrattamento terribile e poco nota in Italia chiamata di Shaken Baby Syndrome (o Sindrome del bambino scosso) associata alle conseguenze, anche mortali, di uno scuotimento violento ai danni del neonato. La Sindrome del Bambino Scosso o Trauma Cranico Abusivo, è una forma di maltrattamento fisico in cui il bambino, di solito sotto i 2 anni di età, viene violentemente scosso imprimendo forze di accelerazione, decelerazione e rotazione al capo e alle altre strutture del corpo, provocando lesioni gravissime.

La forza dello scuotimento del piccolo può provocare danni neurologici e fisici importanti che in casi estremi possono risultare letali. Deficit motori e nel linguaggio per i più piccoli, e danni che dipendono dalle aree colpite con deficit cognitivi importanti che possono portare in età scolare a disturbi dell’apprendimento.

Non scuotere mai il tuo bambino

Isabella Berlinguero, psicologa e psicoterapeuta, sostiene che: “L’azione di scuotere un bambino può determinare importanti gravi esiti anche a livello psicologico. Sono stati riscontrati in questi piccoli disturbi del linguaggio, dell’apprendimento, della memoria e disturbi comportamentali”. L’azione, gravissima, di scuotere un neonato per interrompere il suo pianto se può sembrare che effettivamente faccia smettere il bambino, consiste un vero e proprio maltrattamento che non fa che spaventarlo senza motivo.

Terre del Hommes, che dal 1960 ha come obiettivo “l’aiuto immediato e diretto all’infanzia” ha deciso di portare all’attenzione dei neogenitori e di coloro che si occupano dei piccoli dell’esistenza di questa forma di maltrattamento e delle conseguenze legate ad esso con la prima campagna nazionale per la prevenzione della Shaken Baby Syndrome “Non Scuoterlo!” che ha come volto Alessandro Preziosi.

Diventare genitori è un cambiamento radicale, che per quanto fortemente desiderato, ancora prima della coppia, mette a dura prova i singoli individui.

Nonostante la felicità immensa che comporta la nascita del primo bambino, il momento di transizione alla genitorialità non è indolore: coinvolge l’individuo prima ancora che la coppia in processi intrapsichici di integrazione e rimodellamento dell’identità, di ridefinizione  di se stessi come figli, mettendo in discussione equilibri consolidati da una vita. D’un tratto ci si rende conto che perfino i propri bisogni fondamentali, tra cui quello di riposare, ad esempio, passano inesorabilmente in secondo piano: il neonato necessita cure, attenzione, abnegazione e dedizione totale. Sorriso, calore, ottimismo, conforto, protezione: richiede il meglio di noi, ma nonostante gli sforzi, certe volte ci si scontra con gli umani limiti di resistenza fisica.

sindrome bambino scosso

Il peso della genitorialità perfetta

Notti insonni che si susseguono, ore di pianto inconsolabile, problemi con l’allattamento, il ritorno al lavoro del compagno, le faccende domestiche che vanno in qualche modo sbrigate, giornate intere trascorse in solitudine.

A tal proposito scriveva Bowly, psicologo e psicanalista britannico: “Occuparsi di neonati e bambini non è un lavoro per una persona singola. Se il lavoro deve essere fatto bene e se si vuole che la persona che primariamente si occupa del bambino non sia troppo esausta, chi fornisce le cure deve a sua volta ricevere molta assistenza. Varie persone potranno offrire questo aiuto: in genere è l’altro genitore; in molte società, compresa la nostra, l’aiuto proviene da una nonna. Nella maggior parte delle società di tutto il mondo questi fatti sono dati per scontati e la società si è organizzata di conseguenza. Paradossalmente ci sono volute le società più ricche del mondo per ignorare questi fatti fondamentali”.

La società sembra infatti chiudere gli occhi di fronte a questi stati d’animo legati a una fase di transizione così importante e delicata della vita, perché la maternità deve fare rima con felicità, punto e basta. Una felicità raccontata come senza sfumature e senza contraddizioni, più irreale e patinata di uno spot pubblicitario. Un modello di genitorialità non solo assolutamente irraggiungibile ma dannoso per i sensi di colpa e inadeguatezza che provoca.

Spesso quando anzi si prova fare accenno alle difficoltà, si viene liquidati con un sorriso bonario: “Vedrai che passa” o peggio ancora con qualche insinuazione che ricorda molto il vecchio adagio:” Hai voluto la bicicletta?”. I neogenitori pedalano infatti, ma molto spesso purtroppo, affrontano lunghe traversate in solitaria.

La stanchezza, infine, non aiuta e si accumula: numerosi studi, tra le altre cose, dimostrano che la privazione di sonno è tra le prime cause di depressione materna.

Molto spesso i neogenitori non sono affatto preparati a tutto questo: gli stessi i corsi preparto probabilmente non trattano a sufficienza o con dovuta schiettezza questi temi, le famiglie di origine della coppia non possono o non sono in grado di fornire sufficiente sostegno emotivo e pratico e mamma e papà al ritorno dall’ospedale, senza una rete di sostegno adeguata, sono in balia di se stessi. Non si tratta di spegnere l’entusiasmo di una nuova avventura, si tratta di preparare i neogenitori su più fronti, in modo che si trovino meno spaesati di fronte alle difficoltà.

A questo proposito afferma Alessandra Kustermann, direttore SVSeD, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Educare i neo genitori a comportamenti corretti è difficile per l’isolamento in cui vivono le loro prime esperienze genitoriali. Penso che questa campagna abbia il merito di allertare i padri e le madri sul fatto banale che scuotere un bimbo per far cessare il suo pianto può avere conseguenze devastanti. Devono capire che vi sono tecniche più efficaci per calmarlo e soprattutto che possono chiedere aiuto se non ce la fanno”. 

L’importanza di chiedere aiuto

A volte è proprio chiedere aiuto lo scoglio più grande. I genitori possono non rendersi conto di quando la stanchezza supera la soglia di guardia. A quel punto bisogna rallentare, bisogna imparare a delegare a persone di fiducia.

Non è banale né egoista uscire un’ora a prendere una boccata d’aria, di tanto in tanto concedersi una cena in due, fare due chiacchiere con le amiche, rilassarsi sul divano con un libro. Perché niente è più vero che per crescere bimbi sereni ed equilibrati, occorre essere a propria volta persone serene.

Continua Maria Grazia Foschino, psicologa del GIADA – Gruppo Interdisciplinare Assistenza Donne e bambini Abusati di Bari: “La sensibilizzazione di chi si occupa ogni giorno dei bambini rappresenta la più importante strategia di promozione della salute psicofisica dei bambini. In particolare gli strumenti che abbiamo utilizzato in questa campagna sono efficaci misure di prevenzione primaria per la riduzione dell’incidenza dei rischi della SBS, poiché utilizzano messaggi corretti, semplici, chiari, credibili, positivi e con un forte impatto emotivo. Nella nostra esperienza abbiamo potuto verificare quanto la corretta informazione promuova i complessi cambiamenti delle convinzioni alla base delle condotte pericolose dei caregiver. Tuttavia, per chi è in condizioni di particolare vulnerabilità utilizziamo specifici protocolli psicologici di sostegno per favorire un parenting positivo”.

Informare, prevenire, supportare i genitori.

Non lasciamoli soli davanti a una stanchezza che diventa così forte da offuscare la mente e far perdere a tal punto lucidità e controllo da mettere a rischio l’incolumità dei bambini.

Proviamo a metterci in ascolto delle neomamme, qualsiasi ruolo abbiano nella nostra vita: amiche, figlie, parenti. Non fermiamoci davanti ai soliti “Va tutto bene” di circostanza; corriamo il rischio di essere “invadenti”. Offriamo il nostro aiuto concreto anziché i consigli non richiesti, non serve granché: passare in tintoria o al supermercato al posto loro, offrirsi di uscire a fare due passi insieme, sbrigare qualche piccola commissione.  La presenza conta di più dell’ennesimo inutile regalo al bambino.

Ricordiamo loro che tutto passa: non sentirsi soli serve invece a ridimensionare i problemi, a farli sembrare più gestibili.

La stanchezza è transitoria, il pianto si calma. Rimangono invece quegli occhi che si accendono quando vedono il sole del mattino. Quegli occhi vanno difesi come poche altre cose al mondo.

A cura di Valentina Desario