Parto naturale: come avviene e quanto dura

Il parto naturale avviene per via vaginale e senza l’uso di aiuti per estrarre il bambino, come la ventosa, o di farmaci per stimolare il travaglio. Vediamo insieme come avviene e quanto dura nelle sue diverse fasi.

Il momento del parto è tanto desiderato quanto temuto dalle mamme in attesa, soprattutto in prossimità della data presunta. La chiave per affrontare paure e preoccupazioni è principalmente una: informarsi. Sapere cosa aspettarsi, infatti, è fondamentale per vivere questo evento in modo consapevole, sereno e positivo, il che a sua volta può contribuire a rendere il parto più rapido e meno doloroso.

Cerchiamo allora di capire insieme cos’è e come avviene il parto naturale, quali sono le sue fasi e quanto dura, per essere il più possibile preparate ad accompagnare il nostro bambino verso il suo ingresso nel mondo.

Cos’è il parto naturale?

In genere si parla di parto naturale o parto spontaneo quando la nascita avviene per via vaginale, spontaneamente e senza intervento medico, e il parto procede seguendo i tempi dettati dalle contrazioni, dalle spinte della futura mamma e dai movimenti del nascituro.

Il parto naturale è quindi un parto che avviene senza l’uso di aiuti per estrarre il bambino, come la ventosa, o la somministrazione di farmaci per stimolare le contrazioni.

Come tale, il parto naturale rappresenta la conclusione fisiologica di una gravidanza e, nella maggior parte dei casi, la modalità di parto più sicura per mamma e bambino.

Le fasi del parto naturale

Nel parto naturale si distinguono 4 fasi:

  1. fase prodromica
  2. fase dilatante
  3. fase espulsiva
  4. fase del secondamento

1. Fase prodromica

Durante la fase prodromica (o periodo prodromico), il corpo inizia a prepararsi per la nascita del bambino. In questa fase, il collo dell’utero si accorcia, si ammorbidisce e si assottiglia, per consentire la dilatazione e la discesa del piccolo nel canale del parto.

Questo processo può essere privo di sintomi e passare del tutto inosservato, ma più spesso è accompagnato dalle prime contrazioni preparatorie, irregolari e simili a crampi mestruali, che prendono il nome di contrazioni di Braxton Hicks.

La fase prodromica è segnalata anche dalla perdita del tappo mucoso, un spesso strato di muco cervicale che sigilla e protegge l’utero da eventuali infezioni. Quando il collo uterino inizia a dilatarsi, il tappo viene espulso e potresti avvertire una perdita vaginale vischiosa e di colore trasparente o bianco opaco, con possibili striature rosate o marroni. In molti casi, tuttavia, anche la perdita del tappo mucoso può passare inosservata o, più raramente, si verifica solo a travaglio avviato.

Un altro evento che talvolta può accompagnare il periodo prodromico è la rottura delle membrane (più comunemente nota come perdita delle acque). Questo fenomeno si manifesta come una fuoriuscita di liquido trasparente e inodore, che può essere improvvisa e abbondante oppure lenta e continua.

Quanto dura la fase prodromica?

La durata della fase prodromica è molto variabile e può durare da alcune ore a diversi giorni, specialmente nel caso del primo figlio.

Dal momento della perdita del tappo mucoso, ad esempio, possono trascorrere anche una o due settimane prima che inizino le contrazioni. In caso di rottura delle membrane, invece, il travaglio insorge generalmente nell’arco delle 24 ore successive, pertanto è bene recarsi al punto nascita scelto per partorire, con più o meno fretta a seconda dei risultati del tampone vagino-rettale eseguito nelle settimane precedenti.

Come affrontare la fase prodromica?

Questa fase del travaglio può essere stancante, fastidiosa e apparentemente infinita, ma cerca di non spazientirti: i bambini hanno bisogno di tempo per venire al mondo! Nei limiti del possibile, continua con le tue solite attività quotidiane, prepara le ultime cose per il bambino, cucina pasti sani e surgelali per quando tornerai a casa dall’ospedale e goditi il tempo di attesa rilassandoti, coccolandoti e facendo passeggiate all’aria aperta.

2. Fase dilatante

Durante la fase dilatante (o periodo dilatante), le contrazioni diventano via via più intense e dolorose e si manifestano con una frequenza sempre più regolare e ravvicinata, fino a durare circa 40-60 secondi e a comparire ogni 5 minuti: è l’inizio del travaglio attivo, che corrisponde a una dilatazione della cervice uterina di 3-4 centimetri. In questa fase, la cervice raggiungerà gradualmente la dilatazione completa, pari a 10 centimetri.

Quanto dura la fase dilatante?

Alla prima gravidanza, la fase dilatante dura in media 8 ore e raramente supera le 18 ore.

Alla seconda gravidanza o successiva, la fase dilatante dura in media 5 ore e raramente supera le 12 ore.

Quando andare in ospedale?

In genere si consiglia di recarsi presso il punto nascita scelgo quando le contrazioni durano 1 minuto e si presentano regolarmente ogni 5 minuti da almeno 1 ora. 

Come affrontare la fase dilatante?

Il periodo dilatante è solitamente il più stancante del parto, poiché le contrazioni sono molto intense e ravvicinate. Per alleviare il dolore, respira e prova a camminare, cambiare posizione, dondolare, fare un bagno o una doccia calda oppure chiedi al partner di massaggiarti la zona lombare tra una contrazione e l’altra.

Se il ritmo delle contrazioni cambia (incalza o rallenta) non spaventarti e segui ciò che il tuo corpo ti suggerisce di fare. 

Per avere più energia, puoi bere un succo di frutta, un tè freddo o caldo, oppure della semplice acqua e zucchero a piccoli sorsi. Se ne senti il bisogno, mangia della frutta secca o un cucchiaino di miele.

3. Fase espulsiva

Durante la fase espulsiva (o periodo espulsivo), ti troverai in sala parto con l’ostetrica e sarai quasi pronta ad abbracciare il tuo piccolo.

In questa fase, avvertirai i cosiddetti premiti, ossia la necessità di spingere per far scendere il bambino fino all’apertura vaginale. Per molte donne, questa urgenza di spingere sembra arrivare dal retto, come quando si deve andare di corpo

Una volta che la testa del bambino si trova all’interno della vagina, sentirai una forte sensazione di bruciore chiamato “anello di fuoco” o “cerchio di fuoco”. 

Quindi, fuoriuscita la testolina, ci sarà un breve momento di pausa, dopo il quale l’ultima contrazione guiderà il tuo piccolo a compiere la rotazione necessaria per far uscire le spalle e il resto del corpo.

Quanto dura la fase espulsiva?

Innanzitutto è importante sottolineare che, una volta raggiunta la dilatazione completa (10 cm), spesso si ha una pausa di 20-30 minuti prima che inizi il periodo espulsivo e quindi i premiti.

Questa pausa, detta fase di transizione, può anche durare di più (60 minuti ad esempio): in questo tempo non si devono mettere in atto manovre particolari, ma solo attendere che l’attività contrattile riprenda un tono adeguato e che la donna percepisca il premito.

Una volta iniziata, la fase espulsiva ha una durata piuttosto variabile, ma solitamente non supera le 2 ore.

In particolare, nelle donne alla prima gravidanza dura mediamente un’ora, mentre in caso di seconda gravidanza o successiva i tempi si riducono in genere a 20-30 minuti.

Come affrontare la fase espulsiva?

Durante il periodo espulsivo, potrai assumere la posizione che preferisci per assecondare le spinte, anche con l’aiuto del partner o dell’ostetrica. In piedi, seduta, sdraiata, accovacciata o a carponi: non esiste una regola. È però importante sapere che, nella maggioranza dei casi, la classica posizione ginecologica o litotomica (ossia sdraiata o semisdraiata sulla schiena e con le gambe sollevate) è considerata la meno confortevole per partorire. Per questo motivo, l’ostetrica dovrebbe incoraggiare la mamma ad adottare altre posizioni più comode, lasciandosi guidare dalle sensazioni del proprio corpo.

Ricorda: non esiste un modo di spingere giusto e sbagliato. Fidati dell’ostetrica che ti assiste, del partner che ti supporta e soprattutto della tua capacità di partorire e di quella del bambino di nascere.

Un consiglio aggiuntivo: al momento dell’anello di fuoco, cerca di fare respiri brevi e veloci, così da lasciare che sia la testa del bambino a spingere e a disimpegnarsi dalla vagina.

4. Fase del secondamento

Subito dopo la nascita, arriva il momento del primo incontro! Il bambino viene adagiato sul tuo petto, protetto da una coperta, e quando il cordone ombelicale smette di pulsare viene tagliato (in genere si chiede al papà se desidera farlo personalmente).

Se il parto è stato spontaneo e il neonato sta bene, mamma e bimbo non vengono separati. L’unica cosa che l’infermiera farà sarà clampare correttamente il moncone del cordone ombelicale e mettere il pannolino al neonato, mentre l’ostetrica controllerà il colorito del bambino e il respiro, semplicemente osservandolo. In questo momento, non verrà fatto nessun bagnetto e nessun controllo medico.

Nel frattempo, le ultime contrazioni favoriranno l’espulsione della placenta, detta appunto secondamento. In questa fase c’è una modesta perdita di sangue (secondo l’OMS non supera i 500 ml) che verrà controllata dal ginecologo o dall’ostetrica.

In caso di lacerazioni o episiotomia, il ginecologo procederà ad applicare i punti di sutura necessari. Per tutto questo tempo, il tuo piccolo resterà tra le tue braccia per favorire il primo contatto pelle-pelle e l’allattamento.

Pelle a pelle

In assenza di problemi, dopo il secondamento, mamma, papà e bambino potranno restare indisturbati in una stanza per un tempo di circa due ore, durante le quali il neonato potrà stare pelle a pelle (“skin to skin” in inglese) sul petto della madre.

Questo momento di intimità aumenta la produzione di ossitocina (“l’ormone dell’amore”) che favorisce il bonding tra mamma e bambino e contribuisce a ridurre le perdite di sangue che si verificano dopo il parto. Inoltre, ha i benefici di regolare la temperatura corporea del neonato, stabilizzare la sua attività cardio-circolatoria e normalizzare la sua glicemia, oltre che favorire l’allattamento al seno.

In conclusione

Per una mamma, la nascita di un bambino è un momento di scoperta, forza e meraviglia. Fidati del tuo corpo perché è programmato per fare tutto ciò che serve per far nascere il bambino e per nutrirlo.

I problemi imprevisti, purtroppo, possono capitare, ma le eventuali difficoltà vanno affrontate passo per passo e solo quando realmente si presentano.

Un ultimo consiglio riguarda il senso di colpa e la delusione. Anche se hai sognato tanto di concludere la gravidanza con un parto naturale, al momento della nascita potrebbe essere necessario cambiare programma e ricorrere a un’induzione farmacologica, a un parto operativo (ad esempio con l’uso della ventosa) o a un cesareo programmato o d’urgenza.

Quando questo succede, molte donne fanno fatica ad accettare di non aver avuto il parto che desideravano e si sentono mamme di serie B per non aver potuto dare alla luce il loro bambino naturalmente.

Tieni a mente che la modalità di parto migliore è sempre quella che offre meno rischi al bambino e alla sua mamma e che la modalità di parto che si affronta non è una colpa né tantomeno esprime il valore di una madre. 

Nonostante la delusione, sii fiera di te e stringi tra le braccia il tuo cucciolo. E ricorda che, nel caso di una gravidanza successiva a basso rischio e senza controindicazioni, è possibile tentare un parto vaginale dopo il cesareo (VBAC) con meno rischi rispetto a un cesareo ripetuto.

Fonti

  • Gaskin I.M,, La gioia del parto, Bonomi editore, 2004.
  • Intrapartum care. London: National Institute for Health and Care Excellence (NICE); 2023 Sep 29. PMID: 37871143.